mercoledì 19 gennaio 2011

Ennesima spaccatura nella maggioranza di Belfanti

Sul parco la maggioranza si spacca
Mercoledì 19 Gennaio 2011 il Gazzetino, 

 Il parco - luogo di relax, incontri e dialoghi - per il Consiglio comunale di Prata si trasforma in divisione. L'assise comunale, lunedì, era infatti chiamata a revecore una delibera del giugno scorso che prevedeva la realizzazione del primo stralcio del parco urbano e, sucessivamente, ad approvare il progetto preliminare con adozione della variante urbanistica 29 e il vincolo preordinato all'esproprio. Aprendo i lavori, il sindaco Nerio Belfanti ha messo in evidenza i motivi che hanno indotto l'esecutivo a revocare la prima delibera. «Fermo restando che il collegamento fra le vie Floreffe e Martiri della Libertà rimane immutato - ha detto - la revoca della prima delibera è dovuta al fatto che, per motivi diversi si intende predisporre una nuova planimetria che eliminerà dal vincolo una parte centrale dell'area, in precedenza, destinata alla realizzazione del parco stesso». Prendendo atto che così come viene proposta, la variante è il minor male possibile e che «così come viene realizzato, l'unico dubbio rimane l'idoneità del parco», Moreno Puiatti (Cambiare insieme) ha dichiarato l'astensione del suo gruppo. Simone Giacomet (Giovani idee in comune) ha chiesto «se in futuro nell'area centrale si potrà edificare e che, nell'incertezza si lascia ai posteri lo spinoso problema» e ha dichiarato il voto contrario del gruppo. L'astenzione della Lega Nord spacca la maggioranza. «Così com'è - ha dichiarato il capogruppo Yuri Ros - il pregetto non ci convince». E così pure Marzio Maccan, vicesindaco con delega ai lavori pubblici. Per il resto della maggioranza (Uniti per Prata), ha parlato Nadia Pigozzi (Udc) «così come predisposto non sembra un parco - ha detto - comunque approviamo».

EVENTI STRANI:
 Il vicesindaco in Giunta (G.C. 16/12/2010) ha votato favorevolmente sullo stesso argomento e... udite udite, un mese, dopo si è astenuto! Misteri della giunta Belfanti! 

lunedì 17 gennaio 2011

Cocò all’Università di Napoli o la scuola della malavita

Gaetano Salvemini, “La Voce” 3 gennaio 1909



Gli adolescenti che, dopo aver fatto il liceo in una città del Napoletano, lasciano la famiglia per andare ad addottorarsi all’Università di Napoli, sono forniti assai di rado di una perfetta e solida coscienza morale. Ma anche nei peggiori non mancano mai grandi capacità di bene.



E basta che un giovane meridionale abbia la fortuna di trovarsi sbalzato fra i diciotto e i ventidue anni in un centro di lavoro onesto, in una scuola universitaria seria e sana, perché in lui – fornito quasi sempre di un’intuizione rapidissima, di un forte amor proprio, di facile adattabilità all’ambiente – si determini subito una grande crisi di rinnovamento e di epurazione. E da queste crisi nascono prodotti talvolta mirabili per raffinatezza e per forza, ma non mai inferiori a quella che è la media intellettuale e morale dei giovani del Settentrione.



La più parte dei meridionali, invece va a finire a Napoli. E Napoli è la piaga del Mezzogiorno, come Roma è la piaga di tutta l’Italia.



Nelle città universitarie del Nord non mancano, certo, occasioni di sviarsi al giovane, sfuggito appena dalla costrizione della famiglia e della scuola secondaria, e avido di bere a grandi sorsi la coppa della libertà. Ma una grande ondata di lavoro affannoso travolge tutto, compensa ogni male, purifica tutto. E il giovane si sente come soggiogato da un comando universale, perenne, che lo spinge alla fatica e lo consiglia a farsi avanti, ad affermarsi conquistatore di quelle forze di vita che lo dominano e lo affascinano.



Napoli invece, vasto centro di consumi e di attività improduttive, in cui metà della popolazione campa borseggiando e truffando l’altra metà, sembra fatta a posta per incoraggiare alla poltroneria e per educare alla immoralità. Tutto è chiasso, tutto è dolce far niente, quando non è imbroglio e abilità. Dal lazzarone che si spidocchia al sole, all’alto magistrato, di cui tutti sottovoce dicono che vende le sentenze; dal questurino, che sfrutta le prostitute, al giornalista ricattatore che sfoggia sfacciato automobili e amanti; tutto sembra che consigli al giovane: “Arrangiati, che io m’arrangio: l’onestà e il lavoro sono buoni per gli sciocchi: godere è lo scopo della vita”. Nessuna voce grida alla sua coscienza inquieta e vacillante: “Su via figliolo: lavora per te e per gli altri: il lavoro è la gioia, il lavoro è la libertà”.



Dopo qualche mese di tirocinio in quell’ambiente pestifero e infetto, la giovane speranza della giovane delinquenza borghese meridionale ha scelta per sempre la sua strada. Non è più il ragazzone di facile contentatura, timido e impacciato di una volta. È diventato un elegantone: si pettina e si veste in modo da stare fra il cinedo e il guappo. Si è emancipato da ogni principio morale. Fa la corte alla figlia della padrona di casa. Abbraccia la serva in cucina e la portinaia per le scale. Molto spesso si busca la sifilide. Non c’è denaro che gli basti. E tempesta per averne la mamma e le sorelle di lettere menzognere e minacciose: – povere mamme, che si consumano nella lotta ineguale contro le ristrettezze del bilancio; povere sorelle, che sfioriscono nell’ombra nutrendosi di legumi e rattoppando i calzerotti per il fratello lontano!



Qualche volta Cocò si ricorda di essere anche studente universitario: quando c’è da fare una chiassata. Cocò è quasi sempre anticlericale: quando viveva Giovanni Bovio, non mancava mai d’andare ad ascoltarlo e di applaudirlo almeno una volta all’anno. Spesso Cocò è addirittura socialista rivoluzionario: è insuperabile nel rompere le vetrate, nel fracassare le panche, nel fare con la bocca e con la mano suoni non perfettamente musicali. Cocò può essere rivoluzionario tanto più agevolmente, in quanto è sicuro a priori dell’impunità qualunque birbonata faccia: i carabinieri, che moschettano per dei nonnulla i contadini affamati, non daranno mai noia al figlio di papà. E Cocò è sicuro a tutte le ore di trovare all’Università qualche migliaio di mascalzoni simili a lui, protetti dall’impunità come lui, pronti sempre a fare come lui i socialisti rivoluzionari. Oggi le panche saranno rotte per protestare contro il governo, domani per anticipare le vacanze, dopo le vacanze per ottenere una riduzione di tariffe sui trams e poi per conquistare gli esami di marzo, poi per solidarietà ai colleghi bocciati; e avanti, avanti, avanti, con la fiaccola in pugno e con la scure.



Di tanto in tanto lo spirito di Cocò è turbato dallo spettro degli esami. Ma solo alla morte non c’è rimedio! Una Università in cui 5000 alunni fanno ogni anno, nelle sole sessioni di estate e di autunno, senza contare quella abusiva di marzo, 17000 esami, non può cercare troppo il pelo nell’uovo in questo genere di operazioni. Eppoi parecchi professori ufficiali esercitano anche libere docenze; iscrivendosi al loro corso libero, l’elegantone laureato si garantisce abbastanza bene contro i rischi di quegli esami che dipendono da quei professori. Altri professori ufficiali sono investiti di incarichi in materie non obbligatorie, che apparirebbero inutili qualora non vi si iscrivesse un numero sufficiente di volonterosi. Cocò si iscrive anche a questi corsi, e si assicura altri esami. Parecchi professori ufficiali, specialmente delle facoltà di giurisprudenza e di medicina, sono avvocati, o esercitano la professione, o fanno gli affaristi: è facile, quindi, trovare il magistrato, il banchiere, l’elettore influente, il cliente danaroso, il socio d’affari, che con una raccomandazione metta a posto qualche altro esame. Poi ci sono i professori indulgenti per natura, o vecchi rimbecilliti, che non bocciano, mai, mai, mai.



Non manca a Cocò che incontrare uno dei trecentocinquanta liberi docenti, imbroglione e pasticcione, camorrista e intrigante, che sa aiutare nei momenti difficili i poveri giovani bisognosi di soccorso. Basta dare la firma ad uno di costoro, lasciandogli godere tutte le dodici lire e centesimi dell’indennità e non pretendendo il rimborso immediato di una parte delle dodici lire, come molti fanno, e la gratitudine e la protezione del libero docente è assicurata in tutti le commissioni d’esame di cui egli farà parte.



Ed ecco come l’Università di Napoli sforna ogni anno circa 600 fra medici e avvocati e una sessantina fra professori di lettere e di scienze, dei quali la più parte non è assolutamente capace di scrivere dieci righe senza almeno dieci errori di grammatica ed è intellettualmente abbruttita e moralmente disfatta. Questa vergogna non è peculiare dell’Università di Napoli. Tutte le università italiane sono più o meno ammalate: ed in fatto di corsi liberi, per es., gli abusi che si commettono dai professori universitari a Palermo, a Torino, a Padova, sono forse superiori a quelli di Napoli.



Ma è innegabile che nell’insieme l’Università di Napoli è quella che accentra in sé il minor bene e il maggior male; che mentre nelle altre università prevalgono fra i professori ufficiali in proporzioni più o meno forti gli scienziati sugli affaristi, nell’Università di Napoli prevalgono gli affaristi sugli scienziati.



Cocò, analfabeta e laureato, si avvede ben presto di essere inetto a vincere un concorso per la magistratura o per le prefetture o per i ministeri, se è avvocato; è sistematicamente bocciato nei concorsi per le scuole medie, se professore; non ha nessun titolo di capacità per ottenere una condotta fuori del paese natio, se è medico.



Se ne ritorna, dunque, sospirando alla casa paterna dove lo aspettano la mamma invecchiata e le sorelle avvizzite. E qui, impotente a vivere coi frutti della professione libera, privo com’è di una qualunque abilità tecnica, tenta di assicurarsi un reddito, anche minimo, con un impiego municipale. Dove il partito dominante è solido e potente, Cocò gli striscia umile ai piedi e gli chiede un tozzo di pane. Dove esiste un’opposizione abbastanza forte o la maggioranza non si affretta a riconoscere i meriti e i diritti del neolaureato, costui si mette all’opposizione e combatte la maggioranza nell’interesse della patria. E allora si vede Cocò, anticlericale fierissimo all’Università, iscriversi a una confraternita e tenere il baldacchino dietro al Vescovo nelle processioni; e l’ex-socialista rivoluzionario giocare la sera a terziglio col delegato, col maresciallo dei carabinieri, e chi applaudiva Giovanni Bovio falsifica le bollette del dazio consumo e ruba i denari della beneficenza.



L’azione politica degli spostati ha una grandissima importanza nella società moderna, perché costoro, non avendo nulla da fare, fanno per tutto il giorno della politica: sono giornalisti, libellisti, galoppini elettorali, conferenzieri, propagandisti. Fanno di tutto; e in grazia delle loro attività, si conquistano i primi posti nelle file dei partiti politici, diventano gli uomini di fiducia, i depositari dei segreti, i guardiani e i padroni delle posizioni strategiche. Per tal modo tutta la vita dei partiti si accentra in essi; e poiché le idee non girano per le strade sulle proprie gambe, ma si incarnano in uomini, si ha che le più belle idee, i più bei programmi di questo mondo, quando cadono nelle mani di quei miserabili, si riducono a pretesto per conquistare un impiego. E i partiti vanno in rovina; perché, conseguita la vittoria, la distribuzione degli impieghi è causa di ingiustizia contro gli impiegati antichi o di dissidi fra gli aspiranti, sempre più numerosi del bisogno; una prima ingiustizia indebolendo moralmente gli amministratori che l’hanno commessa, li dà mani e piedi legati in balìa degli elementi peggiori del partito, che minacciando scandali e pronunciamenti, ricattano senza posa e senza freno i loro padroni e li obbligano a nuove ingiustizie o a nuove immoralità; gli impiegati maltrattati si impoveriscono; gli aspiranti delusi o passano al partito avversario, o restano nel partito a crear nuove scissioni e sospetti e recriminazioni. E così i partiti, che avevano riportato strepitose vittorie e sembravano depositari della più scrupolosa giustizia e padroni dell’avvenire, in pochi mesi si disgregano e precipitano nel fango.



È questa una malattia di tutti i partiti, a qualunque gradazione politica appartengano, e di tutti i comuni italiani, qualunque sia la razza che li popoli. E girando per l’Italia e vivendo a lungo in Romagna, in Lombardia, in Toscana, ho acquistato sotto questo, come sotto molti altri rispetti, una discreta stima per l’Italia… meridionale: tutto il mondo è paese; e anche i nordici sono discretamente sudici.



Ma fra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale ci sono, a danno del Mezzogiorno, le seguenti differenze. 1. Nel Mezzogiorno le professioni libere offrono meno risorse che nel Settentrione, data la minore ricchezza del paese e i meno svilippati bisogni civili della popolazione; 2. nel Mezzogiorno i professionisti, e più specialmente gli avvocati, sono più assai numerosi che nel Nord, e quindi si riversa sugli impieghi comunali un maggior numero di spostati; e Cocò è costretto ad una concorrenza più feroce, e non ha modo di fare le cose per benino e di salvare le apparenze come fanno i suoi analoghi nell’Italia settentrionale; 3. nel Nord la classe dei professionisti affamati costituisce soltanto uno fra gli elementi della vita politica ed amministrativa e deve coordinare e subordinare la propria azione a quella di altre classi che hanno peso politico: borghesia industriale e commerciale, proletariato industriale, proletariato rurale, professionisti competenti e non affamati; nel Mezzogiorno la borghesia capitalistica è poco sviluppata, il proletariato rurale è escluso dal voto perché analfabeta, professionisti competenti e non affamati ce ne sono pochini assai.



E così gli spostati – il cosiddetto proletariato dell’intelligenza – formano la grande maggioranza della classe politicamente attiva, sono ovunque i padroni del campo, saccheggiano senza limiti e senza freno i bilanci comunali; si possono dare anche il lusso di dividersi in partiti, secondo che sperano l’impiego dal gruppo amministrativo dominante o dall’opposizione. E le spese di tutto questo lavoro le fanno sempre alla chiusura dei registri, i contadini.



E il deputato meridionale è, salvo rarissime eccezioni individuali, il rappresentante politico di una delle due camorre di professionisti affamati, che si contendono il potere amministrativo per mangiarsi i denari del municipio e delle istituzioni di beneficenza e per tosare i contadini. E l’ufficio del rappresentante politico consiste nell’impetrare l’acquiescienza della prefettura, della magistratura, della questura, alle cattive azioni dei suoi elettori e seguaci e di votare in compenso la fiducia al governo in tutte le votazioni per appello nominale.



Così la corruzione della borghesia meridionale arriva a Roma e da Roma impesta tutta l’Italia. Con questa differenza: che le province settentrionali presidiate da una borghesia non indegna della sua funzione politica e sociale, e forti di una vigorosa vita autonoma, reagiscono contro l’infezione della Città Eterna, e bene o male fanno la loro strada. Nel Mezzogiorno la corruzione propinata dal governo centrale si accumula a quella che pullula nella vita locale, e tutto il paese si sprofonda in una fetida palude di anarchia intellettuale e morale e di volgarità.



E in tutto questo processo patologico una parte grandissima di responsabilità tocca ai professori dell’Università di Napoli che sono venuti meno sì spesso al loro dovere di far servire l’Università a selezionare intellettualmente e moralmente senza debolezze e senza pietà la borghesia meridionale; e hanno lasciato che essa funzionasse come una scuola superiore di mala vita, e contribuiscono così poderosamente a rendere impossibile nelle classi dirigenti del Napoletano ogni iniziativa illuminata e benefica, a dissipare in essa ogni coscienza di dovere e di solidarietà sociale, a distruggere nel Mezzogiorno ogni capacità di vita locale energica e sana.



giovedì 6 gennaio 2011

Auto blu, chiusa l’inchiesta. Il pm: processate Ballaman



La Procura di Trieste ha concluso le indagini preliminari: l’accusa per l’ex presidente leghista è di peculato
di Anna Buttazzoni - Messaggero Veneto (06/01/2011)
Il sostituto procuratore di Trieste, Federico Frezza, ha chiuso le indagini preliminari e chiesto il rinvio a giudizio per Edouard Ballaman. L’accusa è quella di peculato perché l’ex presidente leghista del Consiglio regionale ha utilizzato l’auto blu «impropriamente e ripetutamente», è la tesi della Procura della Repubblica.

Il caso era scoppiato il 1° settembre con la pubblicazione sul Messaggero Veneto di un “dossier” con una settantina di viaggi: giorni, spostamenti e motivazioni che mettevano in evidenza un uso disinvolto di auto blu e autista tra maggio 2008 e marzo 2010. Documenti finiti nel mirino di due Procure, quella della Repubblica, appunto, e quella della Corte dei conti. E i magistrati rilevano la responsabilità dell’ex presidente, autosospesosi dalla Lega, dimessosi dal vertice dell’assemblea il 9 settembre e oggi componente del Gruppo misto.
A svolgere le indagini è stato il pm Frezza e nella richiesta di rinvio a giudizio, che sarà esaminata dal Gip del Tribunale di Trieste, evidenzia una decina di viaggi che non troverebbero giustificazioni di tipo istituzionale. L’abuso nell’utilizzo della vettura di rappresentanza si manifesterebbe, per esempio, nel novembre del 2009 quando Ballaman a bordo dell’auto blu, e accompagnato dall’allora fidanzata e oggi moglie Chiara Feltrin, si fece portare all’aeroporto di Venezia per accogliere i parenti di lei, in arrivo dal Sud Africa per partecipare al matrimonio della coppia. O, ancora, quando Ballaman e consorte nel gennaio 2010 si fecero portare all’aeroporto di Milano Malpensa per volare verso il viaggio di nozze. E quindici giorni dopo fu sempre l’autista della Regione in auto blu ad accogliere la coppia al rientro dalla vacanza.

Il legale di Ballaman, Luigi Fadalti del foro di Treviso, è in attesa della notifica dell’avviso da parte della Procura. Ma il processo per Ballaman appare scontato. Anche perché è stato proprio il difensore dell’ex presidente del Consiglio, dopo l’i nterrogatorio di Ballaman effettuato da Frezza a inizio ottobre su richiesta del legale, a sbarrare la strada a eventuali richieste di patteggiamento. La tesi difensiva sembra essere quella di un comportamento portato avanti da Ballaman per prassi consolidata. Come dire: Ballaman ha fatto ciò che fanno tutti gli assegnatari di un’auto blu.  «Non chiederemo alcun patteggiamento – aveva detto Fadalti – e, in caso di rinvio a giudizio, andremo fino in fondo e senza risparmiare nessuno, trascinando in aula come testimoni tutti coloro che riteniamo abbiano qualcosa da dire sulla vicenda e non solo».

Adesso la richiesta di rinvio a giudizio c’è.



lunedì 3 gennaio 2011

Egitto, Bersani: "Serve mobilitazione internazionale per libertà religiosa" Dopo la strage di Capodanno e il richiamo di Benedetto XVI interviene il segretario del PD: "Pronti ad appoggiare ogni iniziativa del governo. L'Italia può e deve avere ruolo particolare"

“E' doveroso rispondere al forte richiamo di Benedetto XVI sull'estendersi dell'intolleranza religiosa. Questa intolleranza ha colpito e sta colpendo in particolare i cristiani dell'Iraq, della Nigeria, delle Filippine, dell'Indonesia, dell'Egitto. C'e' il rischio che sulla libera espressione religiosa si scarichino sanguinosamente tensioni politiche ed etniche”. Lo ha dichiarato il Segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani. “C'e' bisogno urgentemente di una mobilitazione delle istituzioni internazionali, dei governi, delle diplomazie e delle pubbliche opinioni perche' la liberta' religiosa sia pienamente garantita. In questo, l'Italia puo' e deve avere un ruolo particolare – ha concluso Bersani - Siamo pronti ad appoggiare ogni iniziativa del governo italiano che incoraggi una reazione internazionale a cio' che sta avvenendo”.